Home Calcio 360º Inghilterra e diritti TV: un modello da seguire.

Inghilterra e diritti TV: un modello da seguire.

by Redazione Sport Time Calabria

Il calcio inglese è senza dubbio quello con più tradizione e prestigio a livello mondiale. La prima edizione della “serie A” inglese, il cui nome era semplicemente “First Division“, venne giocata nel lontano 1889.

Ancor più datata è invece la prima edizione di quella che è ritenuta la competizione con più fascino e storia al mondo, ovvero la FA Cup, che si tenne nel 1871 (all’inizio fu istituita per i soli club dilettantistici, mentre dal 1882 venne allargata anche a quelli professionistici).

Nel 1992 il calcio inglese visse una vera e propria rivoluzione. I 22 club che partecipavano alla First Division (divenuti 20 dal 1995) decisero di separarsi in blocco dalla Football League e dalla Football Association a causa della volontà di contrattare direttamente e personalmente i diritti televisivi e le varie sponsorizzazioni.

Nacque così la Premier League, destinata a diventare la lega più ricca al mondo che attualmente vende i propri diritti TV per la “modica” cifra totale di 2,4 miliardi di sterline da ridistribuire poi ai club in base a vari parametri partendo comunque da una base di 80 milioni per ognuno di loro.

Le leghe affiliate alla Football League passarono quindi da quattro a tre e sono oggi la Football League Championship (la nostra serie B), la Football League One e la Football League Two.

I tre campionati hanno una struttura e un formato molto simili tra loro.

Innanzitutto sono delle vere e proprie maratone, dal momento che presentano al via ben 24 squadre. Un posto promozione è sempre riservato alla vincente dei playoff che quindi dopo le 46 partite già giocate ne deve disputare altre tre per guadagnarsi il passaggio alla categoria superiore.

Mentre non esistono invece i playout; infatti sono previste tre retrocessioni dirette dalla Championship alla League One, quattro dalla League One alla League Two e solamente due dalla League Two alla prima lega semi-professionistica inferiore.

Un sistema che rende bene l’idea di come sia vissuto il calcio in Inghilterra, dove un paese con circa 53 milioni di abitanti può vantare ben 92 squadre professionistiche. Il tutto mentre in Italia si ha difficoltà a completare i gironi di serie C con squadre che riescano a garantire solidità ed affidabilità economiche tali da non rischiare un fallimento durante la stagione, tanto da dover introdurre le cosiddette “squadre B” per garantire il regolare svolgimento dei campionati.

Come se non bastasse c’è un dettaglio che ci fa letteralmente impazzire: le finali playoff di tutte e tre le leghe della Football League vengono disputate in gara unica a Wembley. Dettaglio mica da poco in quanto aggiunge una carica emozionale incredibile ad una partita che già di per se vale un’intera stagione. Così come avviene per le finali di Coppa di Lega e di Fa Cup, capita quindi di vedere uno stadio di 90.000 spettatori stracolmo di gente e di passione per una finale playoff tra compagini che magari in campionato hanno avuto una media spettatori che a stento superava le 10.000 unità.

Tra queste sfide ce n’è una che può vantarsi di essere quella più importante al mondo a livello di ritorno economico per la vincente ed è la finale dei playoff di Football League Championship che assegna appunto la terza promozione in Premier League.

Quella disputatasi quest’anno ha visto di fronte due squadre storiche che bramavano il ritorno in massima serie: il Fulham, una delle varie squadre della capitale, e l’Aston Villa di Birmingham.

A spuntarla è stato il Fulham che ha vinto 1-0 grazie al gol di Cairney al 23° del primo tempo.

Gol difeso con le unghie e con i denti, anche dopo essere rimasti in 10 al 70° minuto, respingendo gli assalti dei Villans che ci hanno provato in ogni modo fino all’ultimo secondo.

Bene, si stima che questo gol porterà un introito potenziale nelle casse del club bianconero di circa 170 milioni di sterline. Basti pensare che, solo per quanto riguarda i diritti TV, una squadra di Premier guadagna al minimo 95 milioni di sterline, fino ad arrivare ai 140/150 per i top clubs.

In caso di retrocessione immediata dopo la promozione il “sistema di paracadute” inglese garantirebbe un’entrata di 41 milioni per il primo anno trascorso nella categoria inferiore e di circa 34 milioni per il secondo anno.

A questi vanno aggiunti i maggiori introiti provenienti da sponsorizzazioni di vario genere, dal merchandising e dall’aumento del prezzo dei tickets.

Un ulteriore dato, a nostro parere incredibile, che ci fa capire come il sistema funzioni talmente bene da garantire a chi viene promosso di poter operare e programmare il futuro del club nel migliore dei modi è il seguente: dei 18 clubs promossi in massima divisione dal 2011/12 in poi ben 13 giocheranno la prossima edizione della Premier League.

Per noi italiani ci sarebbe davvero tanto da riflettere e da prendere spunto. Gli inglesi si sono dimostrati geniali e lungimiranti nella gestione complessa dei diritti TV.

Sono riusciti a garantire un’altissima competitività, premiando la meritocrazia e facendo in modo che anche i club più piccoli avessero modo, se meritevoli appunto, di poter costruire squadre capaci di competere al meglio e di fare investimenti altrimenti impensabili.

E mentre in Italia avere uno stadio di proprietà per i club è quasi utopia in Inghilterra è la normalità. O mentre in Inghilterra una squadra neo-promossa può comprare un giocatore pagandone il cartellino anche 20/30 milioni di sterline in Italia ci si mette settimane a chiudere trattative di prestiti e le neo-promosse difficilmente riescono a mettere delle basi solide per il futuro investendo in calciatori ed infrastrutture a meno che non siano già di per se società relativamente ricche o con un presidente facoltoso che abbia voglia di spendere.

E pensare che a cavallo tra gli anni 90 e i primi 2000 si può dire che l’Inghilterra odierna fossimo proprio noi, con i più forti campioni internazionali che avevano l’obiettivo e il sogno di venire un giorno a giocare in serie A.

Ma come al solito avviene alle nostre latitudini, anzichè sfruttare quel boom cercando di fare investimenti e regolamentazioni intelligenti che garantissero la buona salute e la competitività del nostro calcio per un periodo più lungo possibile, ci si è adagiati sugli allori e si è mancati completamente di lungimiranza e spirito imprenditoriale nel senso migliore termine.

E così può accadere che un Milan che vanta sette Champions Leagues siano anni che, non solo non riesce a competere per vincerla, ma non vi riesce neanche più a partecipare.

O può succedere che una neo-promossa debba fare i salti mortali per provare a salvarsi in quanto il dislivello tra i top club, i club di fascia media e le cosiddette piccole è sempre più marcato. La strada che il nostro calcio sta intraprendendo al momento non sembra andare nella direzione giusta, tutt’altro; eppure l’Inghilterra è lì ad insegnare come amministrare l’industria calcio al meglio, basterebbe non diciamo copiare, ma almeno prendere ispirazione.

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