Calcio, pallanuoto, basket, pallavolo. E poi pallamano, tennis, sci, perfino hockey. Tutte discipline nelle quali gli ex-jugoslavi sono forti, tremendamente forti. Lo erano ieri come lo sono oggi. In realtà la lista sarebbe molto più lunga. I fatti sportivi degli ultimi mesi, almeno quelli indorati da una più vasta risonanza mediatica – tradotto: la Coppa del Mondo di calcio in Russia con la sorprendente Croazia in finale, i Mondiali di pallavolo femminile con la Serbia campione – hanno nuovamente messo in luce un aspetto che era ben noto perfino ai nostri bis-nonni appassionati di sport: i Balcani – che paese unito non sono più da anni, ma che in un certo senso rappresentano ancora, nell’immaginario collettivo, un’unica seppur astratta entità geografica – inglobano fertili lande di grandi sportivi. Che essi appartengano a sport di squadra o a discipline singole fa poca differenza, sebbene il concetto di “squadra”, nella cultura della fu-Jugoslavia, ha da sempre avuto un significato sociale particolarmente rilevante. La squadra è l’espressione di un collettivo, dal latino colligere, raccogliere: nella Jugoslavia comunista, le squadre raccoglievano uomini e atleti di tutte le etnie e religioni, e le vittorie dimostravano ai cittadini che era possibile vivere con successo in una società multietnica e multiculturale. Non si trattava solo di propaganda: era, sotto un certo punto di vista, una ragione d’essere. Tutto ciò lo si evince soprattutto nella storia della pallanuoto, probabilmente lo sport, insieme al calcio, il cui sviluppo stava più a cuore al comunismo jugoslavo, e il cui retaggio culturale è ancora vivo e pulsante al giorno d’oggi. Se non altro perché nella realtà della pallanuoto, nel 2009, è stata istituita la prima lega sportiva unitaria dagli anni della dissoluzione, l’Adriatic League, che conta squadre provenienti da Croazia, Montenegro, Slovenia e Serbia, e che nella campagna 2011/2012 ha visto anche la partecipazione dell’italiana Pro Recco, laureatasi campione proprio nella stagione d’esordio. La compagine attualmente più titolata è lo Jug di Dubrovik, per altro l’ultima squadra balcanica ad aver vinto la Champions League della pallanuoto, nel 2016. L’impronta croata è particolarmente pressante nella storia di questo sport, soprattutto durante i primi decenni jugoslavi. La Jugoslavia che ottenne la prima storica medaglia olimpica nella pallanuoto, una medaglia d’argento, alle Olimpiadi di Helsinki del 1952, contava tutti giocatori croati, un serbo e un montenegrino. Un occhio al palmarès della Champions League di pallanuoto e si trovano squadre provenire da Zagabria, da Spalato e da Dubrovnik, mentre la Serbia è rappresentata quasi esclusivamente dalla città di Belgrado, nei nomi delle due sue più grandi figlie, il Partizan e la Stella Rossa; eccezion fatta per il solitario acuto del VK Bečej, nel 2000, compagine scomparsa appena due anni più tardi. Negli ultimi decenni, soprattutto a livello internazionale, la Serbia ha comunque tenuto testa ai rivali croati, conquistando due mondiali in quanto stato singolo (fino al 2006 ha gareggiato col nome di Serbia e Montenegro e con la dicitura YUG sulle calotte) nel 2007 e nel 2015, gli ultimi quattro titoli europei (dal 2012 al 2018) nonché l’ultima medaglia d’oro alle Olimpiadi di Rio 2016, battendo proprio la Croazia in finale. Complessivamente, si può affermare che la pallanuoto, all’interno del panorama balcanico, sia stato e sia tuttora lo sport più di successo, soprattutto sotto l’aspetto dei risultati. Pur non vantando i numeri che può sfoggiare il calcio, sia in quanto seguito che in quanto squadre, la pallanuoto è forse l’unico sport di squadra ad avvicinarsi con più costanza al successo internazionale, cioè ai titoli e alle medaglie. Questo è anche uno dei motivi per cui, osservando i tifosi durante una partita di calcio di Croazia e Serbia, ogni tanto se ne nota più di qualcuno con una calotta da pallanuoto in testa. E’, in un certo qual senso, uno status-symbol, un auto-affermarsi come i migliori al mondo. Come Croati e Serbi, quasi nessuno.
E poi ci sono i paradossi. La storia dei Balcani di questi paradossi è piena. Il paradosso più grande, almeno per quanto riguarda la storia sportiva – in realtà, specialmente nell’ex-Jugoslavia, mai da tenere distinta a quella sociale, politica e culturale – ha un luogo, una data e due squadre, o per meglio dire, due tifoserie: 13 maggio 1990, Stadio Maksimir di Zagabria, Dinamo Zagrabia – Stella Rossa. Il calcio è uno sport molto popolare tra i Balcani, nonostante la storia calcistica della Jugoslavia sia condita più da cocenti delusioni che vittorie (al contrario della pallanuoto, per esempio). Anche il calcio, tuttavia, in quanto sport di squadra, nell’epoca comunista di Tito era impregnato dei nobili significati di fratellanza, unità, multietnicità, multiculturalità. E’ paradossale, dunque, come l’inizio della fine della Jugoslavia – cioè l’inizio delle lotte fratricide – sia cominciato su un campo da calcio. A Zagabria, quel pomeriggio di primavera, si iniziarono ad abbattere tutti i ponti costruiti negli anni precedenti, proprio grazie allo sport, e la piaga del nazionalismo dilagò, come un fiume in piena, dalle gole adriatiche alle piane danubiane, senza posa e senza freno. Le dee balcaniche, i fiumi femmina che bagnano quelle antiche terre (la Sava, la Drava, la Drina), si macchiarono del sangue dei loro stessi figli. Poco più di un anno più tardi, il 29 maggio 1991, la Stella Rossa di Belgrado alzò la prima, unica e ultima Coppa dei Campioni della Jugoslavia, battendo il Marsiglia ai calci di rigore nella notte mediterranea di Bari, ad una manciata di chilometri di acqua salata da casa. In un certo senso, fu la fine del calcio balcanico, il punto più alto della storia dello sport jugoslavo mentre tutto ciò che stava attorno si stava sgretolando rapidamente. Prima della finale dei Mondiali di Russia 2018 raggiunta dalla Croazia, mai nessuna squadra calcistica – né di club, né nazionale – è riuscita nemmeno a subodorare il dolce gusto del successo.
Un’altra grande tradizione sportiva all’interno dei Balcani è però rappresentata dal basket. In quest’ambito, oltre a Serbia e Croazia, un’altra nazione della ex-Jugoslavia la fa da padrona: la Slovenia. Sebbene, a livello di club, i successi europei manchino dai tempi dell’unione, quando Jugo Spalato (CRO), Partizan Belgrado (SER) e Cibona Zagabria (CRO) dominavano lo scenario continentale a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, le selezioni nazionali continuano a tenere botta in un proscenio europeo storicamente governato soprattutto da Spagna e Grecia. Negli ultimi Europei di pallacanestro maschile, la Slovenia di Dragić e compagni si è laureata campione battendo la Serbia in finale. Negli ultimi cinque Europei disputati, per giunta, almeno una squadra della ex-Jugoslavia si è piazzata tra le prime quattro (Serbia, Slovenia, Macedonia e Croazia). Se la storia della pallanuoto è appannaggio quasi totalmente dei croati, quella della pallacanestro ha impresse le lettere della Serbia nei suoi libri: la nazionale serba è una delle poche super-potenze mondiali in grado di reggere il confronto con gli Stati Uniti, arrivando seconda negli ultimi mondiali disputati e vincendo due campionati del mondo (come Serbia e Montenegro), nel 1998 e nel 2002.
Sia Croazia che Slovenia, e in misura minore anche Serbia e Montenegro, sono particolarmente forti nella disciplina della pallamano, uno sport che nel resto dell’Europa continentale – specialmente in Germania, Francia, Spagna, Danimarca, Svezia, Repubblica Ceca e Ungheria – è particolarmente popolare, sicuramente molto di più che in Italia. In particolare, come nazionale, la Croazia ha conquistato la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici del 1996 e del 2004, laureandosi per altro Campione del Mondo nel 2003. Uno dei punti forti della Serbia, oltre che la pallacanestro, è invece il volley: il successo delle ragazze serbe ai recenti Mondiali di pallavolo è la continuazione di una importantissima tradizione nella disciplina all’interno di questo Paese, avendo la selezione femminile già vinto il titolo europeo nel 2011 e nel 2017. Anche la nazionale di volley maschile serba si è laureata campione d’Europa per ben due volte, nel 2001 e nel 2011. Un tratto distintivo della Slovenia è invece l’hockey sul ghiaccio. La nazionale alpina partecipa regolarmente ai Campionati Mondiali di Hockey sul ghiaccio, proseguendo la tradizione sui pattini della ex-Jugoslavia. Per giunta, lo sportivo più importante sul suolo sloveno non è né un calciatore né uno sciatore, come si potrebbe pensare, ma un giocatore di hockey: Anže Kopitar, che milita nei Los Angeles Kings, nella NHL statunitense.
E per quanto riguarda gli sport individuali? Subito il pensiero corre verso il tennis, a nomi attualissimi come quello del serbo Novak Djokovic, considerato come uno dei tennisti più forti di tutti i tempi, o della giovane promessa croata Borna Coric, uno degli ultimi ad aver battuto niente meno che Roger Federer. I paesi dell’ex-Jugoslavia hanno tuttavia anche una grande tradizione nell’ambito degli sport invernali, nello specifico sci alpino e sci nordico. Chi abbia un minimo di cultura sportiva invernale non può per esempio non ricordare la leggendaria sciatrice croata Janica Kostelić, vincitrice di 4 medaglie d’oro alle Olimpiadi e 3 Coppe del Mondo, o la slovena Tina Maze, vincitrice di 4 medaglie olimpiche (2 argenti a Vancouver 2010 e due ori a Sochi 2014). Ma, al di là del successo dei singoli atleti, più o meno rappresentativi di un intero movimento, nell’ambito delle discipline invernali è sempre stata la Slovenia a fare da traino: non a caso, anche ai tempi dell’ex-Jugoslavia, il piccolo paese-gioiello incastonato tra le nevi delle Alpi Giulie e le fumose pianure danubiane apportava la quasi totalità degli atleti alla nazionale invernale Jugoslava. La specialità di casa è una delle discipline sportive più belle, adrenaliniche e spettacolari in assoluto: il salto con gli sci. A Planica, ad una manciata di chilometri dal confine italiano, si tiene uno degli eventi più belli in assoluto della Coppa del Mondo di sci, a marzo di ogni anno. La tradizione di saltatori slovena è ricca di successi e di nomi: quando faceva parte della Jugoslavia, il saltatore più vittorioso era Primož Ulaga, capace di vincere un argento a Calgary 88. Più recentemente, il nome di spicco è quello di Peter Prevc, uno degli atleti sloveni più vittoriosi di sempre, vincitore di due medaglie (un bronzo e un argento) alle Olimpiadi di Sochi 2014 e della Coppa del Mondo di Ski Jumping del 2016. E’ stato anche il primo atleta della storia a compiere un salto di 250 metri, nonché attuale recordman nazionale. Uno degli ultimi, grandi tasselli della storia sportiva di quella vasta, meravigliosa e complessa area che sono i Balcani.