Agdam non esiste più. E’ stata cancellata dalla faccia della terra, rasa al suolo, seppellita sotto le macerie di una guerra portata avanti dall’uomo in un territorio impregnato di sangue praticamente dall’inizio dei tempi – il Caucaso. Agdam non esiste più, eppure la sua squadra di calcio sì. Ed incredibilmente, da anni, è protagonista di gagliarde scorrazzate sui verdi prati europei, tra Europa League e Champions League: il Qarabag.
La sua storia è magistralmente narrata dal giornalista Emanuele Giulianelli, nel libro “Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell’Europa”, pubblicato lo scorso giugno da Ultra Sport. Il Qarabag non gioca più a casa sua, Agdam, dal 12 maggio 1993, a causa di un conflitto che quasi nessuno, in questa Europa Occidentale che ormai da decenni ha tagliato i fili con la sua stessa controparte Orientale, conosce veramente, quello tra l’Azerbaijan e l’Armenia per la regione del Nagorno-Karabakh. Se digitate, su Google Maps, le parole “Nagorno Karabakh”, la mappa digitale più famosa al mondo vi fa accelerare velocemente verso Est, fermandosi tuttavia bruscamente a cavallo tra Azerbaijan e Armenia.
La mappa non si focalizza su nessuna regione specifica, rimane per così dire in sospeso, un grandangolo aperto su tutto e niente, spaesata essa stessa da una realtà che possiede confini molto labili, friabili e fumosi, esattamente come la nostra mentalità impregnata di occidentalismo quando si azzarda a gettare un’occhiata oltre Trieste. Basta modificare la parola chiave, allora, in “Agdam”, ed ecco che Maps stringe lo zoom, crolla a picco su un’ameba geografica non meglio definita, tra Azerbaijan e Armenia, chiamata Regione di Askeran, ma della vecchia città, casa originaria del FK Qarabag, nemmeno l’ombra.
In effetti, la Repubblica del Nagorno-Karabakh non esiste formalmente, nel senso che non è mai stata riconosciuta a livello internazionale, e questo è il motivo per cui non è possibile trovarla su Google Maps. De facto, tuttavia, la regione esiste ed è autonoma da un punto di vista amministrativo, autoproclamatasi indipendente dall’Azerbaijan nel gennaio del 1992 come Repubblica del Nagorno-Karabakh. Nel 2017 il cambio di denominazione in Repubblica dell’Artsakh, il cui nome è un rimando ad un’antica regione armena.
La Repubblica confine con Armenia, Azerbaijan e Iran, sebbene una parte delle sue aree siano sotto diretta influenza dell’esercito armeno (che controlla direttamente il passaggio montano che unisce l’Artsakh al confine), a strettissimo contatto con i territori azeri. Un garbuglio, un grattacapo atavico di una regione (quella caucasica) in cui interessi geo-politici delle superpotenze “vicine di casa” Russia, Turchia e Iran hanno sempre avuto un ruolo determinante, più nel nome del disequilibrio che dell’equilibrio, e in cui politiche di pulizia etnica hanno macchiato irrimediabilmente l’area con sangue e dolore. Di queste ultime, il FK Qarabag ne è stato diretta vittima: la società è stata costretta ad emigrare a Baku, capitale dell’Azerbaijan, dopo che le truppe armene avevano preso il controllo di Agdam, nel 1993. Di fatto, il Qarabag è una squadra di rifugiati, uno status che all’interno dei confini azeri (e non solo) ha assunto una valenza che va nettamente oltre i semplici valori dello sport.
Henrikh Mkhitaryan, nato a Yerevan, nell’ex-Repubblica Sovietica di Armenia, il 21 gennaio 1989, ieri sera non era a Baku per giocare la partita di UEFA Europa League tra Arsenal e Qarabag. Il motivo non è stato di carattere medico – Heno, come è chiamato dai suoi numerosi fan in Armenia, non era in alcun modo infortunato – né di carattere disciplinare. Di fatto, Mkhitaryan non ha giocato questa partita in quanto armeno, agli armeni infatti, ufficialmente, è escluso il permesso di viaggiare nei territori dell’Azerbaijan.
Per dover di cronaca, è bene però precisare che agli sportivi professionisti armeni è concesso ottenere uno speciale visto in deroga al divieto di transito sul territorio nazionale, che tuttavia l’Arsenal ha deciso di non richiedere, lasciando Henrikh a gustarsi la partita direttamente da casa sul suo comodo divano a Londra.
Lo sa bene Gurban Gorbanov, storico allenatore del Qarabag e della nazionale di calcio dell’Azerbaijan, autentico fautore del miracolo sportivo Qarabag in questi ultimi anni. Il tecnico azero, senza troppi giri di parole, ha dichiarato, in conferenza stampa, che l’Arsenal ha voluto risparmiare al proprio tesserato il dispiacere di giocare in un ambiente bollente come il catino di 68.000 posti dello Stadio Olimpico di Baku (per altro, sede della prossima finale di Europa League): una pressione che Mkhitaryan difficilmente avrebbe retto.
A supporto di ciò, c’era già un precedente: Mkhitaryan, nel 2015, quando militava nel Borussia Dortmund, non viaggiò con la squadra tedesca per la trasferta, sempre in terra azera, contro il Gabala FK. Il calciatore armeno è per altro famoso, in patria e non solo, per aver elargito aiuti umanitari nella Repubblica dell’Artsakh, nei confronti delle famiglie dei caduti di guerra. L’intera vicenda è sintomo di come la situazione tra Armenia e Azerbaijan sia ancora infiammata, di come la ferita sia aperta e sanguinante, ben lungi da una risoluzione definitiva.