Il calcio è, nella sua sfumatura più innocente e fanciullesca, anzitutto un gioco, un trastullo appassionato e in genere anche intensamente vissuto. Perdersi in fantasticherie è, quindi, una naturale conseguenza dell’accezione ludica del calcio: alzi la mano chi, per esempio – magari guardando una partita della Serbia o dell’Argentina al Mondiale – non si sia immerso, almeno per qualche secondo, in intimi capricci storico-calcistici, provando ad immaginare (e pure a mettere su carta, magari) come sarebbe un’attuale ipotetica nazionale Jugoslava, o quanto Maradona, al posto di Messi, riuscirebbe a spostare gli equilibri in un’Argentina che non va oltre il pari contro la piccola, agguerrita Islanda. Si tratta, appunto, di trastulli, di fantasticherie che poco hanno a che vedere con la realtà ma che stimolano sogni e inventività, dando a volte anche adito ad appassionate discussioni. Poi c’è anche chi certi sogni improbabili riesce pure a realizzarli, come la Transcarpazia che da pochi giorni può effettivamente fregiarsi del titolo di Campione del Mondo, vincendo i poco sponsorizzati Mondiali delle nazionali non affiliate alla FIFA, ma raggruppate dalla ConIFA (Confederazione delle associazioni calcistiche indipendenti), in rappresentanza di quelle minoranze territoriali, sparse in tutto il mondo, non riconosciute, ma che possono vantare una più o meno precisa identità culturale.
Se si dà un occhio all’antica storia italiana, più in particolare a quella del Meridione d’Italia, attorno al periodo compreso tra l’VIII e il V secolo a.C. – dunque nel ciclo temporale di massima intensità del processo di colonizzazione greca in Italia – si può dedurre che all’epoca era venutasi a creare una fascia, più o meno contigua, di territori, specialmente lungo le coste di Campania, Basilicata, Calabria, Puglia e Sicilia – di prevalenza culturale ellenica. Qui, le nuove genti greche, giunte dall’Ellade sia in cerca di nuovi sbocchi commerciali, sia per scappare da una tensione sociale sempre più crescente nelle rispettive póleis, si unirono alle popolazioni locali per dar luce a nuovi città, che a loro volta, nel corso del tempo, patrocinarono la fondazione di ulteriori sub-colonie nei territori circostanti. Il primo lembo di terra ad essere colonizzato dagli antichi greci fu l’Isola di Ischia, Pithecusae, che tuttavia svolgeva più la funzione di emporio commerciale che altro. Gli Elleni si spostarono a poco a poco nell’entroterra, fondando le prime città della Magna Grecia nell’attuale territorio campano; successivamente, ulteriori ondate di colonizzazioni dalla Madre Patria videro il sorgere di nuovi centri sulle coste lucane e pugliesi, fino a giungere in Calabria e nella Sicilia orientale, dove le póleis di derivazione greca raggiunsero il massimo splendore culturale, sociale ed economico.
Immaginare un fantomatico campionato di squadre appartenenti ai territori di quella che un tempo fu la Magna Grecia è un alto esercizio di creatività, che tra l’altro implicherebbe non poche difficoltà “tecniche”: la Magna Grecia non rappresentava infatti un’entità né territoriale né politica, ma un insieme di popoli caratterizzati da origini greche e di prevalenza culturale ellenica; inoltre, storicamente, la narrazione della Sicilia Greca è sempre stata tenuta attentamente distinta da quella della Magna Grecia peninsulare, tant’è che gli antichi definivano italici gli abitanti magno-grechi e siculi quelli della Sicilia ellenizzata. Vi sarebbero, dunque, sicuramente squadre come Taranto, Crotone, Reggina, Locri e forse anche Lecce per quanto concerne i territori italici, mentre Catania, Messina, Siracusa e Akragas per i territori siculi. Ci sarebbe probabilmente anche il Napoli, visto che l’antica Parthènope, da cui la città di Napoli prende le origini, fu fondata da coloni elleni devoti all’omonima sirena che vive nelle acque Golfo sovrastato dal Vesuvio. Il condizionale, in ogni caso, è sempre d’obbligo. Solo una cosa appare certa: nella cultura moderna delle città eredi del patrimonio artistico-culturale greco, vi sono rimaste tracce indelebili della storia antica che ha profondamente caratterizzato l’identità di questi territori. I segnali si trovano un po’ ovunque: nei resti archeologici, nei vernacoli locali, negli emblemi civici, nelle usanze e nei costumi, ma anche negli stemmi delle squadre di calcio, lo strumento di comunicazione identitaria (il “brand”) più potente che ci sia nel mondo pallonaro. Le testimonianze più lampanti? Ve le mostriamo subito.
- TARANTO F.C.
Lo stemma del Taranto F.C. è forse quello più intriso di simboli e rimandi all’antica e leggendaria storia greca della città. A partire dal nome inserito nello scudetto, TARAS (Taranto in greco antico), in caratteri greci maiuscoli e impreziosito da una conchiglia stilizzata. Lo scudetto è caratterizzato dalla bella presenza di un uomo che impugna un tridente, mentre cavalca orgoglioso un delfino sul mare blu. Si tratta del padre fondatore dall’antica Taranto, Taras, che in effetti non era un uomo ma un semi-dio, figlio della ninfa Satyria e del dio Poseidone. Una volta conclusa la lunga traversata marittima, giunto in territorio salentino, Taras, seguito dalla sua flotta, preparò il necessario per offrire i sacrifici dovuti agli dei sulla sponda di un fiume che in seguito prenderà il suo stesso nome. Mentre si accingeva ad ardere le carni animali, un delfino balzò, in tutta la sua bellezza, dal letto del fiume. Taras prese quella visione come un segnale di buon auspicio da parte del suo stesso padre, Poseidone, e decise infine di fondarvi una città, che chiamò inizialmente Saturo in onore della madre ninfa. La leggenda di Taras è inoltre strettamente legata alla storia di Falanto, che le fonti storiche antiche indicano essere il reale fondatore di Taranto. Falanto era l’eroe dei Parteni, un gruppo di spartani che non godeva di eguali diritti civili nell’antica città del Peloponneso. Deciso ad intraprendere una nuova vita altrove, con il consenso dell’Oracolo di Delfi, partì con i suoi compagni alla volta dell’Italia meridionale, salvo poi naufragare durante il lungo e pericoloso tragitto. Lo salvò, guarda caso, un delfino, che lo portò dalle profondità marine sulla riva di quella che divenne la sua nuova città. Taranto è stata una delle più fulgide città della Magna Grecia, l’ultimo baluardo del mondo ellenico a resistere all’aggressiva espansione romana. Decaduta Taranto, scomparve definitivamente ciò che veniva considerata la Megálē Hellàs.
- F.C. CROTONE
Il mare è presente anche nello scudetto del F.C. Crotone, esattamente come nella storia della sua antichissima città. Al centro di esso, capeggia la figura stilizzata di un tripode delfico, sul quale arde con passione la fiamma della leggenda. Due squali stanno a guardia dell’antico recipiente a tre piedi, come a dire che la storia è un patrimonio di questa terra che andrebbe difeso a denti stretti. Se Taranto era spartana, Kroton era achea. L’ecista fondatore porta il nome di Myskellos, originario di Ripe, città situata nell’Acaia, nella parte settentrionale del Peloponneso. Secondo la leggenda, l’Oracolo di Delfi intimò a Myskellos, venuto a chiedere il vaticinio del dio Apollo, di fondare una nuova città, tra Capo Lacinio e il tempio di Apollo Aleo (l’odierna Punta Alice), con le seguenti parole: “Attraversate il vasto mare e accanto all’Esaro fonderete Kroton”. Myskellos intraprese il viaggio ma si fermò a Sybaris, fiorente città situata nella parte nord della costa ionica già nel pieno dello sviluppo, scatenando le ire di Apollo. Il giovane ecista allora rispettò il volere del dio e, giunto ai piedi del promontorio Lacinio, fondò la città che oggi è conosciuta come Crotone, che rivaleggiò con Taranto per grandezza e per il predominio dei territori più floridi della Magna Grecia. E’ dunque per devozione al dio Apollo che nell’antica monetazione della polis magno-greca è presente la figura del tripode delfico, immagine tramandata fino ai giorni nostri, sia nell’emblema cittadino che, di rimando, nello scudetto societario della squadra di calcio. Esso infatti è l’oggetto sacro sul quale sedeva la Pizia, la sacerdotessa di Apollo, bocca carnale attraverso cui il mistico dio dispensava le sue profezie a chi decideva di intraprendere l’arduo viaggio verso l’antica Delfi; ma era anche un prestigioso dono elargito agli atleti vittoriosi, di cui l’antica Kroton era particolarmente fiorente, a partire da Milone, il più forte atleta olimpionico del mondo antico.
- A.C. LOCRI
Sullo stemma dell’A.C. Locri, antica società calabrese fresca di promozione in Serie D, capeggia un meraviglioso Pegaso, il mitico cavallo alato simbolo della libertà, nato, secondo la leggenda, dal terreno bagnato del sangue di Medusa. Il cavallo alato era fortemente presente nella monetazione dell’antica Lokroi Epizephyrioi; il “pegaso”, infatti, era una moneta coniata a Corinto e ripresa dagli antichi Locresi, la cui città sulle coste calabre fu fondata da colonizzatori provenienti dalla Locride Opunzia. L’antica Locri, fondata nei pressi di Capo Zefirio (l’odierno Capo Bruzzano), svolse un ruolo fondamentale per contenere le mire espansionistiche provenienti da nord, da Kroton: le fonti storiche antiche narrano che una coalizione Rhegion – Locri di soli 15.000 soldati sbaragliò un plotone composto da 130.000 unità krotoniati, nella celeberrima battaglia della Sagra, facendo cadere Kroton in una crisi profonda, almeno fino all’arrivo di Pitagora. Curiosamente, tornando al calcio, l’alleanza tra Locri e Reggio Calabria persiste ancora, per lo meno tra le tifoserie e nella condivisione del colore sociale, l’amaranto.
- S.S. AKRAGAS
Così come il Taranto, anche la prima squadra di Agrigento esibisce con orgoglio il nome greco della propria città sullo stemma societario. Akragas era una delle più potenti, ricche, maestose città della Sicilia Greca, fondata da coloni della vicina città di Gela, a sua volta colonizzata da genti provenienti dalle isole di Rodi e Creta. La testimonianza più fulgida della prosperità akragantina è ancora ben rappresentata dall’indicibile bellezza della Valle dei Templi, così come orgogliosamente rimarcato nello scudetto della società calcistica (“Città dei Templi”). Lo stemma, caratterizzato da strisce biancazzurre verticali (un segno di continuità con la storia del vecchio A.C. Agrigento), esibisce una particolare raffigurazione: tre Telamoni, controfigure maschili delle Cariatidi, sorreggono altrettante torri. I Telamoni sono presenti anche nei resti del tempio di Zeus Olimpo, situato, naturalmente, nella Valle dei Templi agrigentina, luogo intriso di fascino senza tempo.
- SIRACUSA CALCIO
A scanso di equivoci, cominciamo col dire che lo stemma del Siracusa Calcio non presenta alcun rimando all’antica e nobile storia greca della città. Tuttavia, non ci siamo sentiti di escludere a priori gli Aretusei, che già dal soprannome trasudano grecità da tutti i pori. In particolare, poi, non potevamo non accennare alla meravigliosa divisa da gioco che la squadra siciliana ha messo in mostra nella stagione appena passata, in occasione del duemilasettecentocinquantesimo “compleanno” della città greco-siciliana. Nella maglietta azzurro mare, è infatti apparso il suggestivo profilo dell’antica Dea Aretusa, protagonista di una delle più poetiche e dolci leggende della mitologia greca. Aretusa era infatti una meravigliosa ragazza, figlia della divinità marina Nereo, di cui il dio Alfeo, discendente di Oceano, si innamorò perdutamente mentre la vide fare il bagno completamente nuda. Per sfuggire alle attenzioni del dio oceanico, Aretusa si rifugiò nell’Isola di Ortigia, a Siracusa, dove venne trasformata in fonte dalla dea Artemide. Zeus, impietosito dal dolore struggente di Alfeo, tramutò il dio in fiume, permettendogli di scivolare facilmente nelle profondità maestose del Mar Ionio, direttamente dal Peloponneso, e ricongiungersi alla sua fonte di amore.