Quanto accaduto allo Stade de Suisse di Berna, lo scorso 23 settembre, può essere considerato come il risultato più incisivo del weekend calcistico europeo. Il 7-1 inflitto dallo Young Boys agli eterni rivali del Basilea, oltre ad essere un punteggio già di per sé piuttosto rumoroso, segna, in un certo senso, la fine di un’epoca, lo spezzarsi di una costante che ha caratterizzato il calcio svizzero (ed europeo) negli ultimi lustri: in un certo senso, il crollo di una solida certezza. Solo fino a ieri, da un decennio a questa parte, ammiravamo e applaudivamo i risultati del cosiddetto “modello Basilea”: assistevamo interessati, nonché un po’ divertiti, alle curiose scorrazzate continentali di questa piccola squadra rossoblù capace di piegare la Roma all’Olimpico per 1-3 nel 2010; di arrivare per ben due volte (stagione 2011/12 e 2014/15) agli ottavi di finale di Champions League e di raggiungere, nella stagione 2012/2013, le semifinali di Europa League; o, più recentemente, di mettere K.O. una leggenda del calcio lusitano, il Benfica, con un roboante 5-0 in casa, o ancora piegare il Manchester United di Mourinho, nel fortino di St. Jakob Park, per 1-0. Sembra una vita fa, era solo l’anno scorso, proprio di questi tempi. Per non parlare dei nomi che, nel corso degli anni, sono passati dalla città elvetica che si affaccia sul Reno e che ora brillano di luce propria tra i vari campionati europei: Mohamed Salah, Ivan Rakitic, Granit Xhaka, Xherdan Shaqiri, Yann Sommer e la lista potrebbe continuare per parecchio ancora. Il “Modello Basilea”, naturalmente, era vincente anche fuori dal campo: uno stadio gioiello, conti in regola, finanze fiorenti, valorizzazione dei giocatori sopra-citati e conseguenti plusvalenze da urlo hanno garantito al club renano più di un decennio di invidiabile benessere economico.
Qualcosa, però, nel tempo si è spezzato. I motivi sono molteplici: dissidi interni alla società, scelte errate da un punto di vista tecnico: allo stato attuale delle cose, il Basilea è clamorosamente fuori da qualsiasi competizione europea (eliminati dai preliminari di Champions League per mano del PAOK, buttati fuori dal più modesto Apollon Limassol nei turni eliminatori di Europa League) dopo 15 anni di timbri ininterrotti del cartellino. Come se non bastasse, dopo la roboante sconfitta per mano dello Young Boys di Berna – campioni di Svizzera in carica – i RotBlau possono dire praticamente addio ad ogni ambizione-scudetto: quartultimi in classifica (il massimo campionato elvetico è composto da 10 squadre), a 12 lunghezze dai gialloneri futuri avversari della Juventus in Champions League, l’obiettivo primario dalle parti di St Jakob Park è ora quello di recuperare un po’ di credibilità a livello nazionale.
Una rivoluzione, quella avvenuta in terra elvetica, che porta il marchio dello Young Boys di Berna, storica squadra dell’antica capitale della Svizzera, che con la vittoria del campionato 2017/2018 ha interrotto un periodo di digiuno che durava ormai da 30 anni, dopo sei frustranti piazzamenti d’onore nell’arco del decennio 2007-2017. Una cambio di marcia cominciato in sordina, da lontano, con l’arrivo di Adi Hütter sulla panchina dei gialloneri nel 2015. Hütter, giovane tecnico austriaco che questa stagione ha rimpiazzato Niko Kovac sulla panchina dell’Eintracht Francoforte, veniva da ottimi risultati in terra austriaca, dove era balzato agli onori della cronaca per aver portato il modesto SV Grödig, piccolo club del salisburghese, al terzo posto nella Bundesliga austriaca nel 2014, e alla conseguente qualificazione in Europa League. Dopo un campionato vinto alla guida del Red Bull Salisburgo, nel 2015 arrivò la chiamata dello Young Boys, ormai esasperato dal predominio del Basilea in campionato. Con pazienza, Hütter e la dirigenza bernese hanno cominciato a incastonare i primi tasselli della squadra che nel 2018 vincerà il titolo dopo ben 32 anni di digiuno, e che attualmente partecipa alla fase a gironi di Champions League insieme a Juventus, Manchester United e Valencia: dal portiere David Von Ballmoos, uscito direttamente dal vivaio giallonero, fino ad arrivare al colossale centravanti Guillaume Hoarau, ex-PSG, diventato ormai una vera e propria icona pop in quel di Berna, passando per gli elementi indispensabili per la manovra giallonera come il roccioso centrocampista Sekou Sanogo, l’esterno sinistro serbo Miralem Sulejmani o la seconda punta tutta dribbling e fantasia Roger Assalé.
Dopo lo storico successo in campionato, il cambio al timone: salutato Hütter, sulla panchina dello Stade de Suisse è arrivato il 39enne Gerardo Seoane, che la scorsa stagione ha guidato il Lucerna alla terza piazza in Super League svizzera alla sua prima effettiva esperienza da primo allenatore. Subito il dito puntato sulla dirigenza bernese: un allenatore così giovane, senza alcuna esperienza in Champions League, è un azzardo troppo grosso per una squadra come lo Young Boys. Risultato: la qualificazione ai gironi di Champions League, dopo aver eliminato la Dinamo Zagabria ai play-off. Il 7-1 inflitto in campionato al Basilea, oltre a chiudere definitivamente la saga leggendaria del club renano, ha anche virtualmente messo un punto ai discorsi in campionato, visto che lo Young Boys è primo a 10 lunghezze di distanza dalla seconda classificata (il Thun) dopo appena 7 giornate disputate. Il divario, e non solo quello della classifica, sembra incolmabile. Sulle onde dell’entusiasmo, i tifosi gialloneri aspettano ora la Juventus allo Stade de Suisse, lo stesso stadio dove la scorsa domenica hanno messo in scena una protesta inusuale: al 15esimo minuto del primo tempo, dalla curva di casa, è scesa una pioggia di joystick da Playstation e palline da tennis. Il motivo? Una protesta contro i sempre crescenti investimenti del club nel settore degli eSports, che stanno cominciando a spopolare in tutto il globo. Nel calcio moderno, dopo una vittoria attesa per 32 anni e una qualificazione ai gironi della Champions League, succede anche questo.